Ti racconto la mia terra
Uomini, donne e storie di Montefusco
Costruiamo insieme il mosaico della memoria montefuscana
Nelle mie lente e pazienti ricerche archivistiche, nelle lunghe ore passate a consultare registri e documenti, nei miei incontri e nelle mie interviste a personaggi del territorio, ricostruendo ritratti del passato, più o meno remoto, nelle mie scritture impastate di passione e rispetto, c'è sempre una grande emozione...l'emozione dell'incontro con altre vite ed altre storie, l'emozione della vita stessa che rinasce nei ricordi e diviene memoria...e proprio con la speranza di conoscere e condividere storie, di costruire il mosaico della memoria montefuscana insieme a chi con me vorrà collaborare, dono questo spazio bianco a chi vuole raccontare storie di uomini e donne montefuscani. Basta contattarmi ( i miei contatti sono nella sezione Contatti di questo sito ) e pubblicherò il racconto in questa sezione con il nome di chi, generosamente, me lo ha inviato.
Uomini, donne e storie di Montefusco 1
Angiola Renzullo Caldarazzo
la mia intervista del Marzo 2013*
..le polverose carte si animano nello sguardo incantato di una pizzillara che custodisce con amore e dedizione l'eredità delle principesse: è lo sguardo incantato della signora Angiola Renzullo, la più anziana pizzillara del paese . Nei suoi occhi lucenti si illumina quasi un secolo di storia, la Storia e le storie del pizzillo montefuscano. In un capriccioso mattino del Marzo montefuscano, la signora Renzullo mi accoglie gentilmente nella cornice del distinto salotto e, tra raffinati pizzilli, carte consumate dal tempo e dagli spilli, e suggestive fotografie, si riavvolge meravigliosamente il nastro del tempo. Le sue parole, come fili sottili, intrecciano la preziosa trama dei ricordi e annodano le stagioni della vita. Rivivono, nello sguardo vivace, le giornate assolate dell’infanzia, quando, nella piazzetta di S. Nicola, al centro di Montefusco, dove era l’abitazione paterna, si riunivano molte donne a lavorare il tombolo, come allora era consuetudine, quando il tombolo aveva una funzione aggregativa importante, raro momento di socialità, occasione di incontro e dialogo per la comunità femminile montefuscana. “Il pizzillo l’ho imparato così, naturalmente, vedendo le ragazze vicino casa …io ero piccola e ‘mbrogliavo i loro pizzilli – il ricordo qui illumina il volto con un grande sorriso – poi mamma mi ha fatto imparare, piano piano, con 4, 5 spilli sul cuscino … Era bello allora, si rireva (rideva) e se pazziava quando si faticava o’pizzillo e tutto Montefusco lavorava a tombolo, pure gli uomini lo facevano. C’era qua vicino don Carmelo che faceva o’ pizzillo e cacciava e’ carte (preparava i disegni), e pure Peppino, suo fratello. E poi c’era don Manfredo Bocchino , che mise pure a scola e’ pizzillo. La scuola era a casa sua, e ci andavano una quindicina di donne, solo donne. Si andava di mattina presto, fino a mezzogiorno, poi a mezzogiorno si tornava a casa per mangiare. Si tornava alla scuola il pomeriggio fino a sera. Credo che era il 1925, io avevo 7-8 anni, comunque tra il 1925 e il 1930…..pure io ho insegnato il tombolo a tante ragazze – continua teneramente la signora Angiola seguendo il filo dei ricordi - ma non tutte lo imparavano … si vede subito se una ragazza è portata o no a lavorare il tombolo … poi, per la foglia d’uva ci vuole un’abilità particolare, i tommarielli (fuselli) devono ballare per la foglia d’uva e non tutte ci riuscivano … “Eh quanta pazienza, pungi ‘ncoppa e’ mane (pungi sulle mani) * ” - diceva mia sorella Filomena -” e gli occhi della signora Angiola brillano al ricordo della cara sorella di cui mi mostra orgogliosa le fotografie che la ritraggono sempre vicina al suo tombolo. Qualche attimo di silenzio … le immagini e le emozioni si affollano nella mente e nel cuore … un lungo sospiro e nelle foto sbiadite, sparpagliate sul tavolo, si animano i volti delle donne che sorridono alla vita nella Montefusco dei primi anni del Novecento, mentre le figure altere degli uomini, con i loro atteggiamenti dignitosi e fieri, affrontano il tempo ... persone care, figure familiari e, nella foggia elegante dei loro vestiti, sempre presente, il pizzillo … un prezioso ricordo, simbolo ed espressione dei giorni lieti e delle occasioni importanti .… il pizzillo … nell’abito da sposa tanto sognato … nel colletto delle bambine, felici nel loro momento importante … nello scialle della festa … e il filo dei ricordi si intreccia con il filo del pizzillo e si dipana nel tempo nuovo. “Il lavoro a tombolo ha un grande valore - sussurra la signora Angiola riprendendo il racconto - ma è faticoso … e non si guadagna subito … Molti lavori a tombolo li ho fatti per la mia famiglia, ma lavoravo pure per Rosaria. Rosaria De Guglielmo era arzilla, andava in giro, prendeva i nostri pizzilli e li vendeva, faceva servizio da don Filiberto Bruno, il maestro. Rosaria faceva molti viaggi e molto lunghi, portava il tombolo lontano …. come fecero pure le sorelle Castagnetti … Claudina, Nora e Bianca Castagnetti che resero il tombolo di Montefusco tanto conosciuto ed importante … avevano una scuola di pizzillo negli anni Cinquanta del Novecento”. Sfogliando le tante carte del tombolo conservate a casa Renzullo, la vetusta e saggia signora del tombolo montefuscano mi racconta di pizzi e coperte, lenzuola raffinate, bavette e tovaglie, le bomboniere per i nipoti ed i centri eleganti “…. una vita passata sul tombolo … - mi sussurra un po’ nostalgica - … una vita a tombolo - sospira porgendomi un intricato disegno - … questo pizzillo, per esempio … quanta fatica …”. La carta interamente consumata dagli spilli sembra trasudare la fatica e l’amarezza del complesso lavoro … resto affascinata ad osservarla mentre sorseggio lentamente il caffè … sento intorno a me l’afflato del tempo che, come in un meraviglioso centro di pizzillo, intreccia i giorni e le emozioni, il passato e il presente, annodando, sul cartone duro della vita, i fili sottili del tempo. Mi congedo affettuosamente dalla gentilissima signora Angiola, con il desiderio sincero di tornare presto a trovarla, e da Michela, la sua premurosa ed accogliente badante. Scendendo le scale della elegante casa Renzullo - Caldarazzo, assaporo la bella sensazione di aver vissuto un secolo incontrando gli occhi profondi di una pizzillara …
*La signora Renzullo è deceduta il 22 Giugno del 2017 , all’età di 98 anni. Era nata a Montefusco il giorno 8 Maggio del 1919
**Essere punta sulle mani era una sorta di ammonizione per le disattenzioni e gli errori che le apprendiste potevano commettere nella lavorazione.
da "Trine di memoria "
Nella foto : Filomena Renzullo , sorella della signora Angiola
La sacra Spina di Montefusco
e il miracolo del 1932
La tradizione cristiana vuole che la sacra reliquia della Corona di spine di Cristo sia stata ritrovata da Elena, fervente religiosa, madre dell’imperatore Costantino, a cui, in un sogno premonitore, fu indicato dove cercare le sacre reliquie della Passione di N. S. Gesù Cristo. Le cronache testimoniano poi la presenza della sacra reliquia nel 770, in possesso dell’imperatore di Costantinopoli mentre, alcuni secoli dopo, nell’anno 1239, l’allora imperatore di Costantinopoli, Baldovino di Fiandra, cedette la corona al re francese Luigi IX, grande collezionista di sacre reliquie. Il legame di fratellanza tra Luigi IX e il sovrano angioino Carlo, e il fatto che quest’ultimo avesse portato in dono a diverse città dell’Italia meridionale alcune Sacre Spine, avute in dono dal fratello, potrebbe far supporre che pure Montefusco sia stata dal sovrano ritenuta degna e meritevole di tale dono. È una ipotesi probabile, ma non l’unica per la verità. Alcuni storici fanno risalire la presenza della Spina ad una donazione dei sovrani Aragonesi, che tanti benefici concessero alla nostra cittadina, altri storici ipotizzano invece che sia stato un dono del feudatario Enrico di Valdimont e la fanno risalire ai crociati. Quale sia la verità, purtroppo non è dato sapere, ma, in realtà, ben poco potrebbe aggiungere al fervido culto secolare che i Montefuscani dedicano alla sacra Reliquia.
Inizialmente custodita nella chiesa di San Matteo, fu poi affidata ai frati del convento francescano e alla Chiesa di San Francesco - una bella tela alle spalle dell’altare in questa chiesa evoca proprio la cruenta scena dell’Incoronazione di spine di Cristo - ed infine, dopo la soppressione di tale convento, fu portata nella Chiesa di San Giovanni del Vaglio, dove a essa fu dedicata una suggestiva cappella e un artistico reliquiario d’argento, in squisita fattura settecentesca.
La sua autenticità ha il suggello divino della fede che il popolo montefuscano da sempre le tributa designandola Santa Patrona del paese e onorandola con feste religiose e civili, processioni e sacre ostensioni, ma tale suggello divino è confermato pure con la celestiale prova degli eventi prodigiosi verificatesi. Lo straordinario evento del 25 Marzo 1932 ne è prova straordinaria. La tradizione storica delle sacre reliquie delle Spine narrava infatti che nella felice coincidenza del Venerdì Santo con la data del 25 Marzo, giorno dell’Annunciazione, esse davano luogo a fenomeni eccezionali. Alcune rinverdivano, alcune fiorivano. La Sacra Spina di Montefusco, quel Venerdì Santo del 1932, portata solennemente in processione, accompagnata dal clero e dalle istituzioni civili, diede luogo ad un fatto miracoloso: “gli astanti videro brillare vivida e porpurea, come una goccia di rugiada, una tenue goccia di sangue”, come viene riferito nelle cronache del tempo. La significativa coincidenza di tali date - Venerdì Santo e Annunciazione - si è verificata pure in tempi recenti, nell’anno 2016, quando la Sacra Spina di Montefusco ha dato luogo ad un evento prodigioso. L’attento esame della commissione preposta a verificare le eventuali mutazioni della sacra reliquia hanno infatti accertato, documentato e testimoniato la presenza di efflorescenze di colore bianco sulla superficie della Spina e di variazioni cromatiche dal rosso chiaro al rosso mattone. La qualificata commissione era composta da esperti medici, una biologa e due sacerdoti.
Ancora oggi la Spina viene gelosamente custodita dal popolo montefuscano che in essa trova motivo di affettuoso orgoglio.
testo tratto dal volume Terra mia
di Emilia Dente